martedì 6 dicembre 2011

Il De Monarcha di Dante. Saggio breve.

16 commenti:

  1. Il De Monarchia è l'opera che meglio sintetizza le concezioni politiche del poeta, vissuto in quel momento storico che segna la crisi delle due istituzioni politiche e spirituali caratteristiche del medioevo e basate su una concezione universalistica dei poteri. Nel suo trattato Dante ribadisce il concetto di superiorità dell'uomo sugli altri esseri viventi, grazie al fatto che esso è costituito da due "nature": una corporea e una spirituale. Secondo Dante questi due aspetti dell'uomo, per volontà divina, sono complementari proprio come le due autorità che governano il mondo, cioè impero e papato. Partendo da ciò, egli afferma la legittimità e la necessità dell'impero e si sofferma a descrivere i rapporti che questo deve avere con il papato(soprattutto nel terzo libro). Dante entra, così, nel vivo della questione politica in atto nel suo tempo, poiché nel medioevo i contrasti tra papato e impero erano stati continui e avevano fatto nascere le opposte correnti del papocesarismo e del cesaropapismo, che propugnavano la supremazia dell'autorità papale su quella imperiale e viceversa. Dante, invece, afferma una nuova teoria,la teoria dei due soli, per confutare la tesi curialista che poneva tra papa e imperatore lo stesso rapporto esistente tra il sole e la luna. Egli dichiara che , essendo derivate direttamente da Dio, le due autorità sono prive di ogni forma di subordinazione reciproca, poiché entrambe sono destinate a realizzare la felicità dell'uomo, tenendo presente che essa è sia terrena( e questa deve essere garantita dell'imperatore),sia celeste(e questa deve essere garantita dal papa).Questo riconoscimento dell'autonomia che spetta al potere temporale nei confronti della Chiesa i critici l'hanno interpretata in chiave laicistica, sebbene Dante non volesse affatto andare contro la legittimità della tesi ierocratica: per lui, uomo del medioevo, il pontefice era l'unico detentore di ogni autorità in quanto diretto rappresentante di Dio sulla terra, sebbene con le dovute distinzioni di cui si è detto. La storia del conflitto tra potere temporale e spirituale non si esaurì al tempo di Dante e,se guardiamo alla storia dell'umanità, il processo di laicizzazione della società si affermerà dopo la rivoluzione francese, a livello europeo, mentre in italia gli scontri tra Chiesa e Stato si inaspriranno dopo la presa di Roma del 1870 che sancì l'indipendenza italiana e la fine dello Stato pontificio, confermando il motto di Cavour "Libera Chiesa in libero Stato". Da allora, la Chiesa, attraverso i Patti Lateranensi e il Concilio Vaticano II, si è aperta ad un'accentuazione del suo ruolo spirituale ed etico, pur senza rinunciare al potere temporale, seppur di dimensioni ridotte.Papi come Giovanni XIII e Giovanni Paolo II hanno cercato di aprirsi al dialogo con le altre religioni, al confronto con la scienza( si pensi alla riabilitazione di Galileo Galilei del 1992) e con un mondo sempre più moderno, nel limite, però, dell'accettazione di quei dogmi e di quei principi,che per la Chiesa risultano inviolabili(come ad esempio le questioni relative all'aborto o all'eutanasia). In Italia, inoltre, l'art. 7 della Costituzione dice: "Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno col proprio ordine, indipendenti e sovrani". Dunque, l'Italia riconosce ancora oggi, come Dante nel De Monarchia,l'indipendenza e la sovranità della Chiesa cattolica nell'ambito specifico del suo potere, che è spirituale. Ma è anacronistico il privilegio nei confronti di tutte le altre confessioni religiose che uno stato, che si dice laico, come quello italiano,concede alla Chiesa cattolica. Oggi, quindi, i termini della lotta tra Stato e Chiesa non sono più, chiaramente, giocati sul terreno politico ma su quello etico. La laicità deve essere un principio secondo il quale, tutti i cittadini, credenti e non, devono vedere rispettate le loro libertà di opinione.

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  2. Il De Monarchia è un'opera di Dante Alighieri,scritta con ogni probabilità dopo la morte di Enrico VII( Agosto 1313)e nello stesso periodo in cui scrisse la Quarta Epistola Politica (1314),indirizzata ai cardinali per esortarli a eleggere un Papa italiano che riportasse la sede papale a Roma,trasferita precedentemente ad Avignone.Altri critici anticipano la composizione del trattato di qualche anno(1310-1313),durante l'impresa dell'Imperatore.Dante, nel De Monarchia si propone di vedere "che cosa è ciò che si dice Monarchia temporale".Gli argomenti dei tre libri sono i seguenti: 1)si propone il quesito se la monarchia è necessaria al benessere del mondo;2)se il popolo romano si assunse a diritto l'ufficio di monarca;3)se l'autorità del monarca dipende direttamente da Dio o dal Papa,vicario di Dio.Nel primo libro Dante afferma che solo una deve essere la guida che regga e diriga gli uomini:l'Imperatore,che è il solo che può assicurare la pace necessaria alla società umana.Inoltre la monarchia universale sulla terra riproduce l'unità dell'universo,retto da Dio.Questa unità e perfezione nella vita terrena si sono realizzate,secondo Dante,sotto Augusto a cui Cristo diede il più alto riconoscimento nascendo sotto il suo regno.Nel secondo libro Dante dimostra che Dio affidò al popolo romano l'attuazione della giustizia sulla terra;a questa conclusione giunge attraverso l'osservazione degli avvenimenti storici che iniziano con la fuga di Enea da Troia.Nel terzo libro sostiene che l'Imperatore non è sottomesso al Pontefice,ma dipende direttamente da Dio.Con un procedimento scolastico Dante confuta dapprima le tesi degli avversari che si basavano essenzialmente nell'errata interpretazione di alcuni passi della Scrittura sulla donazione di Costantino( che Dante giudica illegittima),sull'incoronazione di Carlo Magno da parte del Papa.A prova della sua tesi dimostra che l'impero è anteriore alla Chiesa e non può quindi ricevere da questa la sua autorità.L'argomentazione più importante e poi fondata sulla considerazione che l'uomo è partecipe di due nature:quella corruttibile del corpo,quella incorruttibile dell'animo.Queste due nature hanno diversi fini:la felicità di questa vita e la felicità della vita eterna.La prima deve essere garantita dall'Imperatore, la seconda dal Papa.Infatti sia il Papa che l'Imperatore ricevono il loro potere direttamente da Dio,quindi non sono subordinati l'uno all'altro( Teoria dei Due Soli).E' giusto però che l'Imperatore usi verso il Pontefice" quella riverenza che il figlio primogenito deve usare al padre".Tuttavia sarebbe sbagliato fare di Dante un precursore del moderno concetto della separazione tra potere statale e potere spirituale e delle loro libertà nei rispettivi campi d'azione("libera Chiesa in libero Stato" cit.Cavour):la sua posizione deve essere ricondotta all'ambiente culturale da cui essa sorgeva cioè strettamente medievale.

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  3. Con il De Monarchia Dante vuole intervenire in uno dei temi più "sentiti" della sua epoca, cioè il rapporto tra l'autorità laica e l'autorità religiosa. Nel De Monarchia l'autore sostiene la necessità storica e filosofica della monarchia universale, la quale ha come fine di garantire all'uomo le condizioni indispensabili per la realizzazione della potenzialità spirituale; infatti sostiene che ciò che allontana l'uomo dall'impiegare il "libero arbitri" in direzione moralmente corretta è la cupidigia dei beni materiali. Dante fa anche la considerazione che nell'impero romano si è realizzata la forma determinata della monarchia assoluta e si sofferma ad analizzare i rapporti tra Impero e Chiesa affermando che entrambe le autorità derivano direttamente da Dio e sono perciò tutte e due prive di ogni forma di subordinazione reciproca. Entrambe infatti sono destinate alla realizzazione dell'uomo nel rispetto della duplice natura materiale(corpo) e spirituale(anima), e del conseguente duplice fine: la felicità terrena che spetta all'imperatore e la beatitudine eterna la cui responsabilità ricade sul papa. Con questo trattato Dante interviene nella polemica politico-giuridica ed afferma la sua ostilità al potere temporale della Chiesa e il coinvolgimento di essa nella politica mondana, lo vede come uno dei motivi principali della degenerazione della vita contemporanea. Nella sua attività politica a Firenze aveva lottato per difendere l'autonomia civile del Comune dalle ingerenze di Bonifacio VIII. L'opera venne frequentemente citata dai sostenitori dell'imperatore dopo l'incoronazione a Roma di Ludovico di Baviera contro il parere del papa Giovanni XXII. Il rapporto tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano ha condizionato la storia del nostro paese. Già nel regno Sabaudo era stata proclamata la religione cattolica come religione di Stato. In seguito Cavour ribadì l'espressione :" Libera Chiesa in libero Stato:" perchè secondo lui il papa doveva dedicarsi al potere spirituale e doveva dimenticare il potere temporale per esserci una tranquilla convivenza tra Stato e Chiesa. I rapporti tra i due poteri divennero insostenibili nel momento in cui Roma fu occupata militarmente ( presa di porta Pia) ed annessa al regno d'Italia segnando la fine del dominio temporale della Chiesa. Successivamente, al fine di ricucire lo strappo con le autorità ecclesiastiche, il parlamento nazionale approvò la legge delle Guarentigie, con la quale si riconoscevano prerogative di sovrano al pontefice sui palazzi vaticani. Il tentativo però non ebbe credito quando venne eletto il papa Pio IX il quale non accettò tale legge. Il regime fascista, per acquisire il consenso delle masse cattoliche tentò di risolvere i dissidi con la Chiesa stipulando i Patti Lateranensi con i quali furono regolati su base paritaria i rapporti tra regno d'Italia e Chiesa cattolica. Nel 1984 è stato firmato un nuovo accordo tra Craxi e il cardinale Agostino Casaroli dove il cattolicesimo abbandonava la nozione di religione di Stato e veniva istituito l'otto per mille per finanziare la Chiesa cattolica. La disputa tra Stato e Chiesa oggi non ha motivo di esistere in quanto l'Italia si considera uno Stato laico e la Chiesa, ultimamente, ha cercato di aprirsi al dialogo con il mondo moderno senza comunque rinunciare ai dogmi e a dei valori fondamentali come quello del diritto alla vita

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  4. De Monarchia E' un lavoro di riflessione politica che ha radici nella realtà contemporanea, è anche l’unica opera completa di Dante. È scritta in latino perché è rivolta a un pubblico di intellettuali e raccoglie in forma organica le teoria politiche di Dante. L’opera è divisa in 3 libri ognuno dei quali è dedicato ad un aspetto diverso da tema centrale (ovvero la conciliazione tra impero e papato). Il primo libro sostiene la necessità storica e filosofica della monarchia universale. Essa ha lo scopo di garantire all’uomo la realizzazione della felicità terrena e celeste. Dante dice che ciò che allontana dalla scelta della cupidigia dei beni materiali provoca contese e guerre: se c’è una monarchia universale in possesso di tutti i beni del mondo, tutti gli uomini sarebbero in pace e il mondo avrebbe giustizia. La necessità dell’impero è attestata anche dal bisogno di avere un capo unico che orienta l’umanità verso la conoscenza. Una dimostrazione ulteriore di questa tesi è che la nascita di Cristo sia avvenuta durante l’impero di Augusto, quando l’Impero Romano era universale e c’era la pace. Il secondo libro è dedicato alla dimostrazione di carattere storico in cui viene ribadita la concezione provvidenzialistica e teologica della storia. Nell’Impero Romano si è realizzata la forma storica determinata della monarchia, ed essa ha avuto origine da Dio stesso, perché la parola di Cristo potesse diffondersi meglio grazie all’unificazione del mondo sotto un capo unico. Tutti questi argomenti di ragione insieme a questi organi di fede dimostrano la fondazione dell’impero sulla volontà divina e perciò sul diritto. Nel terzo libro viene considerata la questione politica più spinosa del tempo di Dante: il rapporto tra impero e chiesa. Le posizioni contrastanti erano due: da una parte c’erano i filo-imperiali che sostenevano la superiorità del potere temporale su quello del Papa. Dall’altra c’erano i filo-papali che sostenevano il contrario, ed era la posizione più diffusa in Italia. Dante confuta (mette in discussione) entrambe le tesi, in particolare la seconda, sia con argomenti storici sia filosofici. Egli dice che al Papa non spetta alcun potere temporale e ritiene la donazione di Costantino illegittima perché l’imperatore non poteva donare un cosa non sua. Dante afferma che entrambe le autorità derivano da Dio e quindi sono di pari grado e devono camminare in parallelo per garantire l’uno la felicità spirituale l’altro quella terrena del popolo.

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  5. Il De Monarchia è un trattato in latino composto negli anni 1312-13 da Dante Alighieri e si articola in tre libri, ma il più importante è sicuramente il terzo, quello in cui egli affronta più espressamente il tema dei rapporti tra il papa e l'imperatore: Dante pensa che il papa non era al di sopra dell’imperatore e che dovesse interessarsi alle questioni politiche che secondo lui spettano all’imperatore. Lo dimostra il fatto che durante la sua attività politica egli aveva lottato per difendere l’autonomia del comune fiorentino dal papa Bonifacio VIII. Dante nel terzo libro del De Monarchia è completamente in disaccordo con la concezione ierocratica del potere elaborata dalla Chiesa romana e solennemente ribadita attraverso la bolla Unam Sanctam del 1302. La concezione teocratica assegnava la pienezza dei poteri al papa, la cui autorità era superiore anche a quella dell'imperatore: questo significava che il papa era legittimato ad intervenire anche negli affari che di norma competevano all’autorità laica.
    Tuttavia il pensiero di Dante potrebbe non sembrare coerente considerando che egli era un guelfo quindi a favore del papa, in realtà egli scrivendo il De Monarchia non va contro l’autorità del papa, ma dice secondo lui a cosa dovrebbe limitarsi il suo potere : si dovrebbe limitare al potere spirituale.
    Alla concezione teocratica Dante oppone l’idea che l’uomo persegue essenzialmente due fini: la felicità della vita terrena e quella della vita eterna. Mentre al papa spetta la conduzione degli uomini alla vita eterna (in cui Dante riconosce comunque il fine più alto), all’imperatore spetta, invece, il compito di guidarli alla felicità terrena. Ne deriva perciò l'autonomia della sfera temporale, di competenza dell'imperatore, rispetto alla sfera spirituale, di competenza del papa. L’autorità del pontefice non deve influenzare quella dell'imperatore nello svolgimento dei suoi compiti.
    Dunque Dante vuole dimostrare che l’autorità dell’Impero dipende immediatamente da Dio. Infatti se non dipende dal vicario di Dio, cioè il Pontefice, allora dipenderà direttamente da colui da cui dipendeva l’autorità del Pontefice, cioè Dio stesso. Quindi papa e imperatore sono due autorità distinte; nessuna delle due è superiore all’altra; e l’uno non può appropriarsi dei poteri dell’altro.

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  6. Con questo testo il poeta volle intervenire in uno dei temi più “caldi” della sua epoca: il rapporto tra l’autorità laica (rappresentata dall’imperatore) e l’autorità religiosa (rappresentata dal Papa). Ormai è noto quale fosse il punto di vista di Dante su questo problema, poiché durante la sua attività politica egli aveva lottato per difendere l’autonomia del Comune fiorentino dalle pretese temporali di papa Bonifacio VIII.L’opera si articola in tre libri, ma il più importante è sicuramente il terzo, quello in cui Dante affronta più espressamente il tema dei rapporti tra il Papa e l'imperatore. Dante, anzitutto, condanna la concezione teocratica del potere elaborata dalla Chiesa romana e solennemente ribadita attraverso la bolla Unam sanctam del 1302. La concezione teocratica assegnava la pienezza dei poteri al Papa, la cui autorità era superiore anche a quella dell'imperatore: questo significava che il Papa era legittimato ad intervenire anche negli affari che di norma competevano all’autorità laica. A questa concezione teocratica Dante oppone l’idea che l’uomo persegue essenzialmente due fini: la felicità della vita terrena e quella della vita eterna. Mentre al Papa spetta la conduzione degli uomini alla vita eterna (in cui Dante riconosce comunque il fine più alto), all’imperatore spetta, invece, il compito di guidarli alla felicità terrena. Ne deriva perciò l'autonomia della sfera temporale, di competenza dell'imperatore, rispetto alla sfera spirituale, di competenza del Papa. L’autorità del pontefice non deve influenzare quella dell'imperatore nello svolgimento suoi compiti.Quindi Dante vuole dimostrare che l’autorità dell’Impero dipende immediatamente da Dio. Infatti se non dipende dal vicario di Dio, cioè il Pontefice, allora dipenderà direttamente da colui da cui dipendeva l’autorità del Pontefice, cioè Dio stesso. Per intendere questo bisogna pensare che l’uomo è l’unico tra gli esseri ad occupare una posizione intermedia tra corruttibilità e incorruttibilità. Se si considera l’uomo soltanto per le due parti che lo compongono, cioè l’anima e il corpo, egli è corruttibile, mentre solo per l’anima egli è incorruttibile. L’uomo allora ha la funzione di unire la corruttibilità con la incorruttibilità.

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  7. L’inizio del trecento fu caratterizzato da un rapido logoramento delle due massime istituzioni del Medioevo, l’Impero e Chiesa: il primo aveva totalmente perso il controllo del dominio sull’Italia, mentre la seconda aveva intrapreso una strada verso la corruzione e la mondanizzazione. Dante ritiene che tale condizione di degradazione del’umanità possa essere profondamente connessa proprio all’assenza della guida temporale e spirituale
    Già nel convivio Dante Alighieri aveva menzionato una restaurazione dell’autorità imperiale che avrebbe condotto alla giustizia ed al rispetto della legge, nel 1310, alla notizia che l’Imperatore Enrico VII stava calando in Italia per ristabilire l’autorità imperiale, Dante, stimolato da tale capitale evento politico, scrisse il”De Monarchia”.
    La materia è suddivisa in tre libri scritti in latino,quindi rivolta ad un pubblico di dotti. Nel primo libro Dante procede ad una definizione generale dell’Istituzione Monarchica detta “ unicus principatus et super omnes in tempore vel in hiis et super hiis que tempore mensurantur” , e successivamente dimostra la necessità di una monarchia universale al di sopra di tutti i regnanti.
    Nel secondo libro invece Dante informa il lettore che l’autorità imperiale è stata concessa da Dio e che la supremazia delle armi Romane era stata voluta dalla stessa provvidenza divina.
    Nel terzo libro Dante affronta il tema più importante e di rilevante attualità: il rapporto tra autorità Imperiale e quella Ecclesiastica. Dante sostiene che la suprema potestà dell’imperatore e il potere supremo della chiesa sono autonomi poichè entrambi derivano direttamente da Dio . La loro relazione non è rappresentata dall’immagine del sole e della luna ma da quella di “due soli” che brillano entrambi di luce propria. I fini dell’impero saranno limitati alla vita terrena , quelli della chiesa risiedono nel raggiungere la beatitudine eterna.
    Dante ritiene che per l’uomo sia necessaria “ una duplice guida” , dell’imperatore e del pontefice ,le cui azioni se complementari possono condurre alla salvezza e alla pace di tutta l’umanità, nella vita terrena e nella vita celeste.
    “Usi per tanto Cesare quella riverenza verso Pietro che il figlio primogenito ha da usare verso il padre” Dante sottolinea che poiché gli obiettivi della chiesa sono più alti di quelli dell’impero ,quest’ultimo deve al pontefice una naturale riverenza.
    Tale elaborazione concettuale,in questo momento storico, appare l’espressione di un sogno impossibile finalizzato a riportare indietro il corso degli eventi purtroppo destinata a rimanere un’irrealizzabile utopia . Tale costruzione,dettata dal rifiuto del presente amaro e corrotto, diede però origine a questa straordinaria commedia.
    La questione relativa al rapporto tra Stato e Chiesa, la distinzione e l’indipendenza tra il potere temporale e spirituale, il processo di laicizzazione in Europa si è consolidato negli ultimi trecento anni. Tale separazione, che purtroppo in alcuni paesi del mondo arabo appare lontana, assume invece un ruolo di fondamentale rilevanza affinchè ciascun uomo possa liberamente esprimere i propri pensieri e le proprie credenze religiose ,nel rispetto della libertà individuale.

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  8. Il De Monarchia è un opera di Dante in cui il poeta cerca di esporre un argomento molto sentito per quei tempi: il rapporto fra lo Stato, rappresentato dall' imperatore, e la Chiesa, che era rappresentata dal papa. Il primo aveva perso completamente il dominio in Italia e la seconda aveva cercato di colmare questo buco, corrompendosi sempre di più e abbassandosi al cospetto della monarchia francese.
    Scritta in latino tra il 1312 e il 1313, l'opera era destinata ad un pubblico di dotti, essa è l' unica di tipo dottrinale ad essere stata compiuta. Si divide in tre libri: nel primo afferma che si ha la necessità di un imperatore al di sopra di tutti i regnanti che sia garante della giustizia, il secondo dimostra che l'autorità imperiale sia stata concessa da Dio e il terzo, il più importante, spiega che la Chiesa e lo Stato sono due poteri autonomi e che non dipendono l'uno dall' altro, come si era soliti pensare, e cosa più importante, viene detto che lo Stato e la Chiesa non sono come la luna e il sole, bensì come due soli, perchè brillano entrambi di luce propria e non di luce riflessa. Però queste due stelle sono diverse, poichè la loro sfera d'azione è differente, in quanto l' Impero ha la funzione di far trovare la felicità terrena, mentre la funzione della Chiesa è quella di guidare i credenti alla salvezza eterna. Comunque la loro azione è complementare perchè l' umanità può giungere alla salvezza solo se è in armonia e in pace quindi l' opera della Chiesa richiede un' armonia anche nell' Impero.
    Al giorno d' oggi lo Stato e la Chiesa sono due poteri realmente autonomi, infatti ciò viene sancito anche dall' articolo 7 della costituzione italiana, che dice:"Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani[...]".
    Affermando dunque la tesi di Dante secondo la quale appunto, la Chiesa e lo Stato sono autonomi.

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  9. Roberta mi ha detto di dirle che siccome in queste ultime settimane non ha avuto la connessione ad internet non ha potuto postare il commento visto che lei in questi giorni non è stata presente a scuola e quindi non ha potuto consegnarle il compito.Lunedi porterà il suo lavoro tramite cartaceo...Citazione Roberta Di Fiore

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  10. Ottimo lavoro Michele! Sei partito da Dante per attualizzare il tema sino ai giorni nostri...mi sembra un'idea originale! BRAVO!

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  11. Bene Gabriele! Sei molto migliorato dagli ultimi lavori ma ancora si sente molto il manuale... cerca di lasciare fluire l'argomentazione in veste meno letteraria e con più critica della letteratura.

    Ottimo lavoro Emilio! Ben riuscita anche per te l'attualizzazione critica della traccia.

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  12. Alessandro,"se c’è una monarchia universale in possesso di tutti i beni del mondo, tutti gli uomini sarebbero in pace e il mondo avrebbe giustizia" ma i tempi verbali come funzionano??? Il tuo lavoro rimane molto manualistico e con scarsa capacità critica.

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  13. Riccardo e Claudio, ma com'è possibile che formulate i pensieri allo stesso modo:"questo significava che il papa era legittimato ad intervenire anche negli affari che di norma competevano all’autorità laica. "...Voglio non manuali ma la vostra critica sugli autori che studiate!

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  15. Il De Monarchia è la prima opera completa di Dante. Essa è stata scritta in latino tra il 1312 e il 1313 ed era rivolta ad un pubblico dotto.
    L'opera è divisa in tre libri. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace di garantire unità e pace.
    Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani.
    Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice.
    Per chiarire il rapporto fra Chiesa e Stato, Dante ricorre all'immagine metaforica del rapporto fra il sole e la luna, i due lumi creati da Dio: come la luna vive di luce riflessa dal sole, così il regno temporale ha autorità solo in quanto questa gli viene accordata dal potere spirituale. La Chiesa, tuttavia, non è l'origine dell'autorità imperiale, in quanto il vero potere viene accordato solo e direttamente da Dio.
    Quindi, l'autorità imperiale deve garantire una felicità terrena e quella papale deve garantire una felicità spirituale, senza che una influisca l'altra!

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  16. Salvatore R., il tuo lavoro è completo dal punto di vista letterario ma si presenta poco agomentativo. Un pò confusa la parte conclusiva.

    Piergiorgio, la tua riflessione appare molto superficiale e poco strutturata! Manca un'impostazione argomentativa fluida e approfondita.

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